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domenica 3 giugno 2012


Tempo fa (in fondo poi non troppo) la Calabria era una regione capace di incantare chiunque avesse l’opportunità di ammirarla. Non c’era mare che potesse competere con la limpidezza e la freschezza calabrese, nessun cielo degno di far da cornice ai magnifici paesaggi presenti.
Chiunque si trovasse a visitare la zona veniva assalito da un senso di impotenza tale da indurre a inventare storie assurde per giustificare almeno un minimo l’esagerata grandezza del posto.
Da un punto del cielo non ben definito vi erano delle potenze divine già da tempo soddisfatte di ciò che accadeva sulla Terra. Lodavano gli abitanti della bella regione con giornate miti, prati in fiore, acque limpide, orgogliosi del loro accurato operato.
In Calabria non esisteva distinzione tra giorno e notte: nè il Sole, nè la Luna accettavano l’idea di abbandonare quell’azzurro così sconfinato da ospitarli comodamente entrambi.
Durante una festa organizzata con l’aiuto del dio Faileo, un contadino della vigna di Cirò offrì a tutti gli invitati un sorso della riserva del ‘78. Estasiato dal sapore del suo prodotto, esclamò: “Oh mia Calabria, sei il Paradiso terrestre”.
Con ciò, gli dei adirati dall’inopportuno paragone, decisero di punire severamente il gesto arrogante.
La bellezza evidente della Calabria venne cancellata e custodita solo negli occhi di chi, umilmente, conservò il suo ricordo nel cuore.

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